martedì 3 marzo 2020

Abitudini matrimoniali e condizioni della donna a Genova dal 1200 al 1600




Conferenza di Giustina Olgiati sulle regole ed abitudini matrimoniali e le condizioni della donna a Genova dal 1200 al 1600. Organizzata da "A Compagna" nella ex chiesa di S. Salvatore.
Un'ora e mezza interessante, istruttiva e divertente conclusasi con una vera ovazione. Un racconto avvincente di una grande affabulatrice  che cercheremo di riassumere pur rendendoci conto della nostra inadeguatezza.  


Nel 1200, all'età di 12 anni, le fanciulle erano considerate legalmente "mature" per il matrimonio. Molti matrimoni erano frutto di accordi prematrimoniali delle famiglie cui i futuri sposi non prendevano parte. Gli accordi venivano spesso conclusi quando gli sposi erano ancora bambini, e comprendevano clausole di rivalsa nel caso di rottura dell'accordo.



I matrimoni non venivano celebrati da un prete (ma potevano essere sciolti solo dal Vescovo o dal tribunale ecclesistico). Venivano stipulati davanti ad un notaio e diventavano effettivi al momento della entrata della sposa (a 12 anni compiuti) nella casa dello sposo ("trasductio").



A volte i "contratti matrimoniali" contenevano clausole a favore della moglie che a noi sembrano "ovvie" (promette di non sposare altre donne...) ed altre "cautelative" (portarla a vivere fuori del distretto senza il suo consenso). Nella slide che segue, non conosciamo il mestiere del marito, ma le clausole fanno pensare ad un commerciante (in proprio o conto terzi) che viaggiava per lavoro ed avrebbe potuto essere anche destinato ad altre sedi.  (esiste anche un proverbio: lontan dagli occhi... lontan dal cuore.)





Quando i matrimoni non erano combinati bastava una una semplice promessa reciproca per rendere valido il vincolo matrimoniale ed il "convivere" era considerato "matrimonio di fatto" anche se non registrato in nessun documento. A volte le "promesse di matrimonio" venivano estorte con la violenza o con l'inganno... In questo caso la parte "lesa" poteva rivolgersi alla giustizia civile per annullare il "vincolo", specie se poteva avvalersi di testimonianze a suo favore. 




Le ragazze che non erano state "promesse" da piccole, appena avevano l'età, si davano da fare per conto loro anche (e spesso) all'insaputa dei parenti.




All'epoca le ragazze da marito non godevano di molta libertà. Quindi i corteggiamenti si svolgevano con molta difficoltà (abbiamo visto in un precedente post i due "fidanzati" che "si parlano" "di nascosto" dai due lati di un cancello...).
Già "si parlano"... anche i nostri bisnonni usavano questa espressione nello stesso senso di "relazionano".
Se un ragazzo ed una fanciulla "si parlano" in pubblico (pur in presenza di testimoni)... o è uno "scandalo" o sono "fidanzati ufficialmente" (promessi con l'accordo delle famiglie).
Quindi non restava che "parlarsi" di nascosto dalle famiglie e sopratutto dai vicini... Già, i vicini, e sopratutto "le vicine" hanno mille occhi e mille orecchie... e la lingua lunga... Quindi magari la famiglia non lo sapeva... ma che "quei due si parlano" era nella bocca di tutte le comari del quartiere. E se le "parole" fra i due non portavano al matrimonio, la ragazza rimaneva comunque "chiacchierata" per sempre e se non era particolarmente bella e ricca faticava a trovare un nuovo corteggiatore.
In questo senso si spiega perchè l' Agnesina del fu Brunetto di Brugnato è costretta a ricorrere al tribunale perchè sia sancito, nero su bianco, che lei, con quel Corrado, lì non ci ha mica "parlato". Un bel "certificato di buona condotta" la metterà in condizione di rimettersi in caccia.





Quando i patti non venivano rispettati o le promesse non venivano mantenute si andava in giudizio.



2- I testimoni dovevano giurare solennemente sul Vangelo... e, minacciati di dannazione eterna in caso di spergiuro, a volte ritrattavano le dichiarazioni false rese in corso di istuttoria...





E quando qualcuno cercava di forzare una ragazza ad un matrimonio indesiderato c'era un tribunale che faceva giustizia.




A 12 anni la faciulla era considerata "matura" per far valere le sue ragioni.





A mali estremi... estremi rimedi: Il rapimento .




Di rapimenti sono piene le leggende ed i miti di tanti popoli antichi. Il più famoso che ricordiamo è il ratto delle Sabine.
A volte si trattava di rapimenti veri e propri, ma più spesso doveva trattarsi di quelle che fino a poco tempo fa, nel meridione, chiamavano "fuitine".
Le ragazze si facevano spesso rapire da "innamorati non ufficiali" per sfuggire a matrimoni combinati a loro sgraditi. Messi di fronte al "fatto compiuto" il mancato sposo ed i parenti dovevano rassegnarsi ed accettare la situazione... che veniva quindi regolarizzata e "registrata" davanti alla "autorità costituita".




Ma non si rapivano solo le fanciulle...
A volte venivano rapiti anche i "morosi" riluttanti ed adirittura giovanotti che non conoscevano nemmeno la ragazza che li aveva fatti rapire...





Druda è fuggita.
Stava col marito a casa del suocero che le lesinava vestiti ed ornamenti. E se lei protestava, suocero e marito la picchiavano a sangue. Non era vita...
Ma la denunciano, e lei deve tornare "al tetto coniugale" con le seguenti "disposizioni" del giudice a tutti i membri della infelice famiglia:
L'immagine può contenere: il seguente testo "Druda dovrà obbedire al marito Pietro e servirlo come una buona moglie. Il suocero dovrà fornirle vitto e vestito in modo che ne sia contenta, non dovrà picchiarla né permettere che altri lo faccia. Una volta emancipato, Pietro dovrà vestire sua moglie secondo le sue possibilità."



Anche la povera Andreola è scappata. Anche lei viene condannata a tornare dal marito (e buscarle ancora).
Ma lei ha dei testimoni a suo favore, quindi il magistrato decide di condannare il marito a versarle una cauzione a garanzia che non la picchierà più "oltre il lecito".
Toccato nel portafoglio, Giacomino da Savignone, diventerà più gentile con la moglie? Oppure si limiterà ad usare un "bacco" più sottile e leggero? Non ci è dato conoscere la fine della storia.




Finora abbiamo esaminato le traversie matrimoniali delle fanciulle di famiglie abbienti, che non avevano problema di fornire le figlie di una dote. Infatti tutte le spose dovevano portare al marito una "dote". Se la sposa non era molto "piacente" si aumentava la dote fino a renderla piacente, se non agli occhi, almeno alla "borsa".
Piccola o grande che fosse... la dote doveva essere adeguata allo stato patrimoniale dello sposo.
E le fanciulle povere? ma povere veramente?

Intanto diciamo che era una società molto classista. I ricchi si sposavano fra ricchi, gli artigiani prendevano in moglie le figlie di altri artigiani, e così via.
Per le fanciulle orfane c'erano le opere caritatevoli, in genere gestita da suore, che provvedevano ad avviarle ad un lavoro manuale onesto e decoroso che permettesse loro di "sopravvivere" dentro o fuori all'istituto che le ospitava. Cucito, ricamo, filatura e tessitura, assistenza ai malati erano le "materie di studio" e le più fortunate, con la raccomandazione dell'Istituto, potevano prendere servizio in una casa signorile ("orfana allevata dalle suore" era una buona presentazione, un "biglietto da visita" che ti apriva molte porte. Se poi la ragazza era carina e si faceva mettere incinta dal padrone, saliva sella scala sociale della servitù e veniva spesso fatta sposare a qualche dipendente della casa, o del contado, con una piccola e provvidenziale dote fornita dal padrone. Se non era carina col padrone comunque vitto e alloggio ed un poco di "argent de poche" non le sarebbero comunque mancati.
Al limite potevano prendere servizio come sguattere in un convento... suore è difficile che diventassero perche anche le suore per diventare "spose di Cristo" dovevano portare un dote al "Signore".-
Andava peggio per le ragazze cresciute nelle famiglie veramente povere dove il capo-famiglia era malato o era un "poco di buono" e non aveva un lavoro fisso. Ragazze abituate agli stenti, percosse e tormenti, che avevano l'alternativa di un "compagno" come il padre o di un bordello.
Ad alleviare questa penosa situazione provvedevano a volte altre istituzioni caritatevoli che gestivano lasciti (spesso ereditari) destinati a "dotare" le zitelle indigenti in modo che potessero sposarsi.
Infatti era uso, nei ceti abbienti, destinare una piccola parte dei propri proventi ad opere caritatevoli e legare somme, anche cospicue, a questi scopi nel proprio testamento


Vado a vivere da sola...
 Di regola, le spose entravano in casa dello sposo, anche se questo non era ancora emancipato e viveva con i genitori. Si formavano a volte "famiglie allargate" col "padre padrone", la madre/suocera ed i figli con le rispettive mogli/nuore/madri ed una schiera di nipotini.
La "madre/suocera" di questo racconto, alla morte del marito, ne ha le scatole piene di dover gestire la "tribù" e pronuncia il classico "vado a vivere da sola". Però, siccome le mogli non ereditano i beni del marito, ma ne hanno solo l'usufrutto, si garantisce con un accordo scritto che i figli la manterranno a loro spese in una casa separata dalla magione di famiglia, grantendole gli agi cui era abituata.
In questo caso, contrariamente a quanto si possa pensare, la frase "vado a vivere da sola" non la pronuncia una figlia ribelle, ma una nonna attempata.



Abbiamo detto in precedenza che per rendere valido un matrimonio bastava un contratto fra i parenti ma bastava anche una reciproca promessa orale dei "fidanzati.


Ma queste erano solo le "regole del gioco" mentre in realtà il matrimonio era una occasione per dimostrare la ricchezza delle famiglie coinvolte. Il matrimonio veniva celebrato con il massimo sfarzo, musiche, cortei, pranzi e balli e poteva coinvolgere mezza città in festa.




Alcuni commenti sulle donne genovesi anche da parte di Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464 senese, poi papa Pio II dal 1458 al 1464.
Questo papa è stato importante per il suo "primo tentativo" di concedere alla donna, almeno in teoria, la facoltà di accettare o meno il promesso sposo pronunciando il termine "si , lo voglio". Qundi da quel momento almeno in teoria era concesso alla donna di rifiutare un matrimonio indesiderato.





Nel 1600 erano tenute in gran conto le "raccomandazioni" di Ansaldo Cebà a proposito del matrimonio. Raccomandazioni che noi troveremmo un "tantino grette e maschiliste". Ma lascio a voi il giudizio in merito.

Aggiungiamo solo una nota: Ansaldo Cebà non si è mai sposato


Altri interessanti spunti di riflessione sulla vita matrimoniale ce li offre Andrea Spinola nel 1622. Interessanti sopratutto per capire che, anche gli splendidi patrizi del "Siglo De Oro", ragionavano "col braccino corto"






Ma i magnifici signori che governavano la città predicavano bene e razzolavano male.
Infatti, tra loro, era tutta una gara a mostrare la loro ricchezza, nelle feste private, vestendo le mogli con abiti che costavano quanto una intera nave. 
Questa ostentazione corrispondeva però anche ad un preciso fine commerciale essendo un modo di reclamizzare la loro grande solvibilità ai possibili clienti stranieri che frequentavano la città ad alle feste private erano invitati.








E poi c'erano i matrimoni combinati ma felici. E di questi abbiamo un fulgido esempio: Gio Andrea Doria e Zenobia del Carretto.
Ne parlano loro stessi e coloro che li hanno conosciuti




































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